04/10/2014

 

Il Reliquiario della Vera Croce

 

 
Risplende di nuova luce il prezioso Reliquiario della Vera Croce di San Mauro Castelverde, attribuito alla produzione orafa lombarda, a smalti policromi di fine '400 - inizio '500.
 
Il pregevole manufatto, già Ostensorio dei Papi, fu portato in processione da Urbano VIII Barberini e poi, sino al 1646, da Innocenzo X Pamphilj. In seguito la Badessa del Monastero di Santa Marta in Roma, sorella di Papa Innocenzo X, venuta in possesso dell'Ostensorio, lo cedette al suo confessore, il siciliano Don Vincenzo Greco che, originario di San Mauro Castelverde, a Roma era divenuto Rettore del Collegio de Propaganda Fide.
Fu questi che fece aggiungere, sulla lunula che portava l'ostia, una croce d'oro con inserito un frammento ligneo della vera croce. Il recto  della lunula reca incisa l'iscrizione: D. LIGNO. S. CRUCIS, il verso D. LIGNUM. S. CRUCIS.
L'ostensorio, divenuto quindi il Reliquiario della Vera Croce, nel 1663 fu donato da Don Vincenzo Greco alla Chiesa Madre di San Mauro Castelverde.
Il Reliquario della Vera Croce, che per oltre tre secoli è stato custodito nella chiesa di San Giorgio Martire e non ha mai lasciato San Mauro Castelverde, è stato recentemente richiesto dal professore Mauro Natale, curatore della mostra "Bramantino e le arti nella Lombardia francese (1499-1525)" - Lugano settembre 2014 - gennaio 2015.
Don Giuseppe Amato, parroco della Chiesa di San Giorgio Martire, al fine della prevista esposizione, ha commissionato il restauro del Reliquiario, instabile strutturalmente e con lacune negli smalti. L'intervento è stato affidato a Sophie Bonetti, già studiosa del manufatto (vedasi rivista online OADI n.5, 2012), con la consulenza della restauratrice Mary Yanagishita, specialista di oreficerie dall'Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
 
Il progetto di restauro, validato dalla Soprintendenza di Palermo, è stato effettuato presso il Centro Regionale Progettazione e Restauro con il consistente supporto delle competenze tecnico-scientifiche dell'Istituto che hanno contribuito a valorizzare il prezioso manufatto, restituendolo all'originario splendore. L'intervento ha posto in luce alcuni aspetti della tecnica di realizzazione, peculiari dell'arte orafa lombarda di fine 400 - inizio 500. Le affinità con la miniatura sono evidenti, sia per quanto riguarda i modelli che per la tecnica, in questo caso ancora più complessa: la vivacità dei colori e la precisione delle pennellate sono frutto di grande perizia ed abilità ed uniscono la capacità del pittore-miniatore alle competenze dell'orafo cesellatore.
 
Dati essenziali:
 
La teca sorretta da cornucopie e da una figura di serafino, impreziosita da perle, è chiusa da uno sportello presumibilmente in cristallo di rocca . E' rivestita sia all'interno che all'esterno da smalti che raffigurano nel recto la Resurrezione e nel verso la Crocifissione. Le pareti laterali mostrano in basso un pavimento a losanghe e ai lati e sulla volta raffigurazioni di puttini, serafini e cherubini.
 
Il fusto è composto da sei elementi sovrapposti sui quali poggiano una coppetta e un anello baccellato. Una fascia smaltata riporta l’iscrizione: IN DOMINO CONFIDO. La parte superiore presenta eleganti motivi decorativi in filigrana alternati a tre figure in smalti policromi.
 
La base a pianta polilobata, ornata da quattro coppie di sfingi alate, è decorata con smalti policromi che rappresentano scene tratte dalla Passione di Cristo: Ultima Cena, Orazione nell’orto di Getsemani, Tradimento di Giuda, Flagellazione.
 

 

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